Nella quotidianità della mia attività professionale, incentrata sulla gestione e sullo sviluppo delle imprese agricole, capita sempre più spesso di sentirsi chiedere “cosa devo coltivare quest’anno?”.
La richiesta è trasversale in quanto la ricerca di sicurezza economica in un settore dove le sicurezze stanno pian piano assottigliandosi non conosce dimensione fondiaria o attitudine aziendale, tutti gli attori di questa filiera si trovano ad affrontare nuove sfide, dovute ad un clima incerto che ogni anno sembra mutare rispetto ai dati storici consolidati in nostro possesso, imponendo un cambiamento dei metodi e delle tempistiche di coltivazione. A questo si aggiunge l’andamento ondivago dei mercati globali nei quali la qualità merceologica dei prodotti rincorre l’abbattimento dei costi di gestione e delle spese di logistica sempre più insostenibili per la mancanza di centri di raccolta efficaci, nonché l’arrivo di nuove avversità per le nostre colture: insetti, batteri e virus estranei ai nostri contesti ambientali, ci costringono ad un ripensamento complessivo del nostro sistema produttivo.
La storia ci insegna tuttavia che le criticità incentivano le idee e che le nuove sfide, intraprese con la volontà di ripensare a nuove strategie produttive portano a successi insperati. Troppo spesso le aziende ripetono annualmente i soliti schemi produttivi o nel momento del cambiamento virano verso i trend del momento, tuffandosi in investimenti spesso a lenta remunerazione, senza un reale studio sulla loro fattibilità nel contesto aziendale.
Nessuno ha la ricetta giusta e tutte le idee possono garantire un profitto, tuttavia l’approccio più corretto dovrebbe scaturire da un’analisi dei costi d’impianto, dalla determinazione del tempo necessario per la messa in produzione, dalle aspettative di guadagno e dall’analisi delle caratteristiche pedoclimatiche dell’azienda, tutti aspetti che devono essere affrontati con competenza e professionalità e nei quali lo Studio Tecnico Agrario Per. Agr. Stefano Pacini fornisce consulenza da oltre 20 anni.
A fronte del nuovo regime normativo introdotto dal Decreto Legislativo 21 maggio 2018, n. 75 (Testo unico in materia di coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali, ai sensi dell’articolo 5, della legge 28 luglio 2016, n. 154), la coltivazione, la raccolta e la prima trasformazione delle piante officinali, sono considerate attività agricole, ai sensi dell’articolo 2135 del Codice Civile e pertanto tali attività di
coltivazione dopo anni di marginalità, possono trasformarsi in un’opportunità per l’integrazione del reddito e chissà, nel prossimo futuro per intraprendere un nuova vita produttiva nelle nostre aziende agricole.
E’ evidente a tutti la crescita esponenziale che i marchi del benessere stanno ottenendo promozionando prodotti naturali o quanto l’industria della cosmesi e della farmaceutica, così come il settore degli integratori alimentari siano diventati ormai parte del fabbisogno giornaliero di molti di noi.
La Legge 6 gennaio 1931 n. 99 (vigente fino al 2018) definiva quali piante officinali l’insieme delle piante medicinali, aromatiche e da profumo. Come si evince tale definizione rappresenta un’ampia categoria di specie botaniche, che hanno in comune tra loro solo la proprietà di essere vettori di sostanze dotate di attività specifiche, sensoriali, biologiche e farm
acologiche. La pianta officinale come tale è da considerarsi un “prodotto primario”, ossia un prodotto derivante dalla produzione primaria che comprende anche i prodotti della terra [Art. 2, comma 1, lettera b) – Reg. (CE) 852/2004] e pertanto per poter essere utilizzata come alimento, integratore alimentare, in cosmetica, i n farmaceutica, nei mangimi e prodotti veterinari, nei prodotti per l’industria tintoria e conciaria, negli agrofarmaci e nei prodotti per la casa, deve essere adeguatamente trasformata.
Il settore, di nicchia fino a pochi anni fa, con piccole realtà produttive concentrate nelle aree marginali, grazie ai cambiamenti della PAC ed in particolare in virtù del disaccoppiamento dei pagamenti diretti, che ha svincolato i contributi dalle singole produzioni, introducendo la possibilità per gli agricoltori di percepire il pagamento unico aziendale, ha aprendo spazi alla coltivazione di prodotti minori, ma in alcuni casi anche più redditizi e con sbocchi di mercato più dinamici. Inoltre, l’eliminazione delle reti di protezione come l’intervento pubblico e il sostegno dei prezzi, hanno accresciuto la necessità per le imprese di diversificare le produzioni per ridurre il rischio di reddito. La diversificazione del reddito delle imprese rurali è anche uno degli obiettivi della politica di Sviluppo Rurale. Ne discende una maggiore attenzione per queste produzioni, sia da parte delle imprese che dei decisori pubblici, soprattutto a livello locale. Infine, il settore delle piante officinali ha sicuramente ricevuto nell’ultimo decennio una notevole spinta evolutiva, come conseguenza dell’accresciuta domanda di prodotti legati alla sfera salutistica e del benessere da parte dei consumatori.
Oltre al cambiamento normativo che ha facilitato la possibilità di coltivazione, ammettendo come prodotto agricolo anche la prima trasformazione (essiccazione, produzione di oli essenziali), un altro fattore che rappresenta un punto di forza della coltivazione è la predisposizione di molte di queste specie botaniche verso il nostro areale pedoclimatico in quanto già naturalmente presenti nei nostri terreni, quali elementi tipici della macchia mediterranea, basti pensare all’elicriso, al rosmarino, all’alloro, al cisto o al mirto che sono elementi caratteristici della flora mediterranea, ma anche ad infestanti naturali delle nostre coltivazioni, che da elementi ostativi alla produzione potrebbero facilmente trasformarsi in risorsa.
A fronte della molteplicità di specie coltivabili e della varietà di destinazioni finali per la commercializzazione, risulta limitativo e forviante fornire dei dati economici di dettaglio in quanto fortemente differenti tra loro, tuttavia l’interesse dei grandi gruppi per questo settore, i continui investimenti operati da soggetti privati, da fondazioni ed istituti di credito, nonché l’interesse dimostrato dal comparto politico che dopo 80 anni ha rivisto ed ampliato i contenuti della la Legge n. 99/1931, dimostra che c’è spazio per una nuova imprenditorialità, la quale oltivando specie botaniche da sempre presenti nei nostri territori e quindi perfettamente integrate con le nostre condizioni pedoclimatiche, potrà creare nuova impresa a costi ridotti e con una precoce entrata in produzione.
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